Alcune condizioni richiedono necessariamente l’assunzione prolungata di inibitori della pompa protonica. Gli effetti indesiderati sono molti, e questa review approfondisce il loro impatto sulla salute ossea e il rischio di fratture.
Gli inibitori della pompa protonica (IPP) sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati dai pazienti che soffrono di problematiche acido-correlate a disturbi gastrointestinali. Eppure resta incerta la loro sicurezza nel lungo termine.
In particolare, negli ultimi anni sono stati valutati i potenziali effetti collaterali di questi farmaci sulla salute ossea.
A questo scopo è stata redatta recentemente una review, per fare il punto sui risultati clinici che si sono concentrati intorno alle interazioni tra gli inibitori della pompa protonica e il rischio di fratture.
I dati sono stati raccolti da un database avanzato che ha incluso studi caso-controllo nidificato, articoli, metanalisi e valutazioni retrospettive.
I risultati emersi suggeriscono che il consumo ad alto dosaggio o a lungo termine di IPP è correlato al rischio di fratture da fragilità, principalmente dell’anca.
Il meccanismo è ancora poco chiaro, ma i Ricercatori fanno questa ricostruzione per formulare un’ipotesi plausibile.
Un consumo cronico di IPP si trascina diversi effetti indesiderati come l’ipomagnesiemia (carenza di magnesio), nefriti intestinali, malassorbimento di ferro e di vitamina B12.
In particolare, il consumo di IPP sembra associato ad un aumentato rischio di fratture, e ciò potrebbe dipendere dagli effetti fisiologici che la soppressione cronica di acido può avere su calcio, magnesio e metabolismo dell’ormone paratiroideo.
Pertanto, gli IPP potrebbero causare effetti inibitori dose-dipendenti sulle cellule osteoclastiche e osteoblastiche, che potrebbero degenerare in qualcosa di simile a una sindrome da basso turnover osseo. Pertanto, la fragilità ossea legata agli IPP potrebbe essere determinata da uno squilibrio dei meccanismi di riparazione delle microfratture ossee che si verificano quotidianamente.
Vediamo più nel dettaglio alcuni dei meccanismi presi in considerazione dalla ricerca.
- Carenza di magnesio
L’uso di IPP è spesso risultato in associazione a ipomagnesiemia. Il magnesio è un oligoelemento coinvolto nel metabolismo osseo, sia direttamente che indirettamente. In molti degli studi passati in rassegna è emerso che la carenza di magnesio riduce l’attività osteoblastica e interferisce con l’idrossilazione degli intermediari della vitamina D.
- Densità minerale ossea
Questo aspetto necessita di ulteriori evidenze, ma in alcuni studi è emersa una correlazione tra assunzione di IPP e cambiamenti della densità minerale ossea. Questi sembrano più marcati e frequenti in soggetti che assumevano IPP a lungo termine o ad alto dosaggio.
- Rischio di fratture
Lo stesso è stato osservato nei soggetti a rischio fratture: chi assumeva inibitori per lunghi periodi o a dosaggi elevati era caratterizzato da un maggior rischio di fratture.
I dati raccolti suggeriscono dunque una relazione tra assunzione prolungata o massiccia di IPP e rischio di fratture da fragilità, principalmente all’anca.
Nelle conclusioni, i Ricercatori sottolineano quanto sia importante che i medici valutino con attenzione i soggetti a cui somministrano IPP: qualora si trattasse di persone a rischio di frattura, dunque, suggeriscono di compensare consigliando un’adeguata integrazione di vitamina D e calcio.
Bibliografia
Briganti SI, Naciu AM, Tabacco G, Cesareo R, Napoli N, Trimboli P, Castellana M, Manfrini S, Palermo A. Proton Pump Inhibitors and Fractures in Adults: A Critical. Int J Endocrinol. 2021 Jan.