L’incidenza delle malattie infiammatorie intestinali (IBD – Inflammatory Bowel Disease), precisamente morbo di Crohn e colite ulcerosa, negli ultimi decenni sta crescendo in maniera esponenziale a livello mondiale. Un’équipe giapponese si è concentrata su come l’alimentazione possa venire in soccorso: vediamo cosa è emerso.
Sembra che lo stile di vita occidentale, o occidentalizzato, sia tra i maggiori fattori responsabili dell’aumento di tale incidenza, anche se il fattore chiave scatenante non è ancora stato indentificato.
Gli studi epidemiologici indicano che diete ricche in grassi animali e povere di frutta e verdura sono i modelli più comuni associati all’aumento del rischio di sviluppare IBD.
Gli Autori dello studio, ricercatori della Divisione di Gastroenterologia di Kawamoto (Giappone), ritengono che la disbiosi intestinale associata alla dieta occidentale sia il fattore ambientale ubiquitario nell’IBD.
In generale, le diete occidentali tendono a diminuire la diversità microbica, provocando vari tipi di disbiosi, mentre quelle vegetali l’aumentano ed è importante mantenere tale diversità.
Le diete occidentali aumentano la produzione di ammoniaca, indoli, fenoli e solfuro nell’organismo, il che può essere dannoso per la nostra salute. Inoltre, possono diminuire la produzione di acidi grassi a catena corta, come il butirrato, con numerosi effetti deleteri sulla nutrizione, l’immunità e la barriera epiteliale. Neanche a dirlo, la dieta a base di vegetali aumenta la produzione di acidi grassi a catena corta. In generale, le diete occidentalizzate sono proinfiammatorie mentre quelle vegetali sono antinfiammatorie. I risultati hanno anche dimostrato che tali diete normalizzano i movimenti intestinali in pazienti con stipsi e inducono feci nella norma in pazienti con diarrea o feci molli.
Gli studiosi giapponesi hanno sviluppato un sistema con punteggio per i pazienti affetti da IBD e descrivono la dieta a cui sottopongono i loro pazienti: verdura, frutta, patate, riso, zuppa di miso, tè verde e yogurt semplice, contribuiscono a migliorare il punteggio, mentre alimenti quali carne, anche trita o lavorata, formaggi, burro, margarina, dolci, bibite, alcol, pane, sembrano peggiorarlo.
La dieta proposta è piuttosto blanda, è latto-ovo-semi-vegetariana e consente il consumo di pesce una volta alla settimana e di carne quella successiva e non causa carenza di micronutrienti. Tuttavia, per i soggetti che invece seguono una dieta stretta (come i vegani) sono consigliati integratori di vitamina B12, vitamina D e un corretto apporto di calcio e ferro.
Con quindici anni di esperienza nel trattare questo tipo di disturbo e oltre duecento casi tra colite ulcerosa e morbo di Crohn, i ricercatori ritengono che l’incorporazione della dieta nella terapia contribuisce per la maggior parte al successo, e il ricovero ospedaliero svolge un ruolo essenziale per le modificazioni dietetiche. In alcuni casi l’associazione di infliximab con questa dieta ha indotto la remissione nel 96% dei casi.
Gli Autori di questo interessante editoriale concludono: «Sebbene alcuni esperti raccomandino di evitare il consumo di fibra alimentare nella fase attiva delle malattie infiammatorie intestinali, la nostra esperienza non concorda con questa linea. Pertanto, grazie agli eccellenti risultati ottenuti, raccomandiamo senza alcuna riserva la dieta a base di vegetali».
Bibliografia
Chiba M, Ishii H, Komatsu M. Recommendation of plant-based diets for inflammatory bowel disease. Transl Pediatr. 2019 Jan.
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